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Chi sono io?

di Cristina Anisoara Bud
1° classificato sezione ragazzi

Avevo poco più di due anni quando mia madre ha raggiunto mio padre in Italia, alla ricerca di un lavoro e di un futuro migliore, lasciando me e mio fratello, Vasile, alle cure dei nonni. Circa tre mesi più tardi, una domenica mattina, mia nonna, andando in chiesa, è stata travolta e uccisa da un pirata della strada che ancora oggi non ha pagato la sua colpa!

Da qui è cominciata la nostra avventura: Anisoara e Vasile, due ragazzini lasciati in balia del loro destino, aspettando che qualcuno decidesse di prendersi la responsabilità di crescerli in assenza dei genitori che
sacrificavano la loro gioventù per creare loro la grande opportunità di studiare e di avere un futuro migliore di quanto loro stessi avevano avuto.

Per circa cinque anni abbiamo vissuto con nostra zia che aveva già tre figli, e di certo non si poteva dire che fosse una famiglia così ricca da poter mantenere sette persone, soprattutto dopo che suo marito aveva perso il
lavoro, l’unica fonte di guadagno che possedeva. Grazie al cielo, i suoi due figli maggiori hanno trovato lavoro, mentre mio fratello e mio cugino, dopo aver finito la terza media, facevano lavoretti in giro per il paese,
guadagnando sempre qualche spicciolo. Insomma in qualche modo ci siamo sempre arrangiati, grazie anche al denaro che i miei genitori ci inviavano puntualmente.

Mi ricordo ancora quando i miei genitori spedivano pacchi, pieni di giocattoli per me, dolci, vestiti nuovi e tantissimi regali. Non dimenticherò mai quando mio fratello prendeva di nascosto il cioccolato e me ne portava
un po’ ogni volta che ero triste. Beh, certo, tra fratelli bisogna sempre aiutarsi!

Ricordo quando ci avevano comprato delle bellissime biciclette e di quante volte sono caduta, rovinandomi le ginocchia. La prima volta che sono andata in bicicletta, avevo obbligato mia cugina, esausta dal lavoro, ad
accompagnarmi a fare un giro per strada. Quando siamo arrivate in cima alla salita le ho fatto vedere cosa avevo imparato cominciando a pedalare.

Ci avevano comprato anche un telefonino, il primo che io avessi visto, pochissimi in paese ne avevano uno. Quel telefono era l’unico mezzo che avevo a disposizione per comunicare con i miei genitori, anche se in verità non sapevo chi fossero quelle persone che mi parlavano: per me erano ancora dei perfetti sconosciuti. Mamma e papà erano due parole che conoscevo solo per sentito dire, ma effettivamente non sapevo cosa realmente significassero.

La famiglia di mia zia era una di quelle per le quali le tradizioni sono sacre: ogni domenica andavamo in chiesa, non mangiavamo la carne il mercoledì e il giovedì e osservavamo tutti i digiuni prima delle feste più importanti dell’anno, come Natale e Pasqua, esattamente come prima di zia ci aveva insegnato anche la nonna.

Mio Zio Dumitru non tornava mai a casa a mani vuote, ogni volta mi portava qualche frutto o dei biscotti alla crema. A quei tempi non c’era tanta scelta come adesso, non c’erano cioccolato, caramelle o patatine, come quelle che mi mandava la mamma da Roma, perché in quel periodo era appena finita la dittatura del comunista Nicolae Ceaucescu.

Ritornando a quello che dicevo prima, mio zio non solo non tornava mai dal negozio senza portarmi qualcosa, ma ogni sera quando andavo a dormire si sedeva sul mio letto e mi raccontava tante favole e mi insegnava tante canzoni, che ancora oggi ricordo. Anche i loro figli facevano lo stesso.

Il giorno del mio quinto compleanno mi avevano bendato gli occhi e, al mio risveglio, mi sono ritrovata in un letto pieno di dolci e di regali e tutti intorno a me che mi facevano gli auguri. Ero la più coccolata della casa, forse perché ero la più piccola, ma di certo facevo anche tanti guai!

Un anno dopo, i miei genitori finalmente sono riusciti ad avere i documenti per poter tornare a casa e ho potuto finalmente conoscerli personalmente, non soltanto in fotografia.

L’estate decisero di portare sia me che mio fratello con loro, a Roma: un sogno che diventava realtà!
Purtroppo non era facile attraversare la dogana e quindi dovettero lasciare mio fratello da un’altra zia in una città non molto lontana dal confine con l’Ungheria, Arad, dove è dovuto rimanere ancora per alcuni mesi. Io, al contrario di lui, ho avuto molta fortuna: alla dogana fra Ungheria e Romania nessuno ha detto niente e al controllo austriaco l’ho fatta franca perché dormivo e mia madre mi ha coperto con un giacchetto, mi aveva praticamente nascosta, entrando clandestinamente in Italia. Ho ancora la foto che mi hanno scattato appena oltrepassata la dogana austriaca.

Quel momento è stato una svolta che mi ha cambiato la vita, se non fosse stato per i miei genitori che hanno rischiato non solo di tornare indietro, ma anche la vita, perché le guardie austriache non scherzavano di certo, ma anzi erano capaci di puntarti la pistola alla testa senza pensarci due volte, come avevano fatto a mio padre in precedenza quando aveva tentato di andare in Germania.

Il primo settembre del 2001 sono arrivata a Roma e, senza dire una parola in italiano, due settimane dopo, ho cominciato a frequentare la prima elementare. I miei genitori si preoccuparono di come avrei fatto a imparare a parlare italiano, ma senza che loro si rendessero conto, due mesi più tardi parlavo già fluentemente la nuova lingua.

Circa sei anni più tardi parlavo così poco il rumeno che avevo dimenticato la maggior parte delle parole. Pensavo, parlavo e scrivevo solo in italiano ovunque, non solo a scuola, ma anche a casa.

La prima volta che sono tornata in Romania, mi hanno chiesto se fossi
rumena o straniera. Cosa avrei dovuto rispondere? In fondo, sì ero rumena, ma come facevo ad affermare una cosa del genere se avevo dimenticato quasi tutto quello che avevo lasciato alle spalle in quel giorno che avevo oltrepassato la dogana? D’altra parte non sono neanche italiana, nonostante conosca più l’Italia che la Romania, non sono nata qui.

E quindi chi sono io? Sono rumena o italiana?
Sapete che vi dico? Io sono come un albero che ha radici, origini e tradizioni in Romania, ma i miei rami sono cresciuti grazie all’Italia e alla cultura italiana. Non mi sento straniera né in un Paese né nell’altro, ma al contrario mi sento figlia di due patrie, sono a casa ovunque io vada!

Certo adoro la cucina rumena e tutti suoi piatti tipici e, a dirla tutta, fatico molto per prepararli, ma quella italiana è imbattibile. A Natale, non cucino soltanto le prelibatezze della cucina rumena, ma con tanta pazienza e buona volontà preparo anche il pesce fritto. E’ molto impegnativo cucinare così tante cose, ma ne vale veramente la pena!

Ogni volta che torno a trovare mia zia le insegno tante cose nuove perché se le tradizioni sono meravigliose, le novità possono essere altrettanto belle importanti nella nostra vita!

Cristina Anisoara Bud

Nata in Romania il 17 Ottobre 1994, frequenta la III C Programmatori dell’ITCS Sandro Pertini dove, oltre
a studiare, è impegnata nel Laboratorio teatrale. Adora leggere, disegnare e ascoltare musica. Dopo il diploma ha intenzione di conseguire la laure in Economia perchè desidera realizzarsi professionalmente in questo campo. 

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