Comunità zingare
A cura di Massimo Converso (Opera Nomadi di Roma)
Nella capitale i rom/sinti sono oltre 15000, anche se gli uffici del Comune e la Prefettura forniscono dati diversi.
Di questi, 2500 circa sono rom, sinti e camminanti di vecchia o recente cittadinanza italiana e 4500 sono rom quasi tutti originari della ex Jugoslavia e della Federazione Jugoslava, mentre tutti gli altri sono giunti di recente dalla Romania.
Si tratta pur sempre di una ridottissima minoranza in una città come Roma che conta una popolazione reale di 3,5 milioni di abitanti.
A Roma le prime case popolari (rom abruzzesi e napoletani) furono assegnate nel 1981; i primi tre campi-sosta autorizzati furono costruiti nel 1987; la legge regionale in loro favore è del maggio 1985, ma necessita di un adeguamento sostanziale alla realtà laziale profondamente mutata.
Nessun mediatore rom lavora negli uffici amministrativi del Comune, come invece avviene da anni a Torino e Milano, oltre che in alcune realtà del sul d’Italia; ci sono solamente alcuni giovani rom che lavorano come operatori (o meglio “facilitatori”) nel programma di scolarizzazione comunale per i minori rom.
Fra i rom/sinti di antco insediamento nella capitale, il gruppo più numeroso e antico è costituito dai rom abruzzesi (in realtà originari anche del Molise o della Ciociaria), già tutti allevatori-commercianti di equini e bestiame in genere, oggi ridotti alla questua e alla chiromanzia e non raramente ad attività al limite della legalità.
Vivono in case proprie (Romanina, Torre Angela, Mandrione, Quadraro) o popolari (Spinaceto, Nuova Ostia, Laurentino, Casilino), ma l’impatto troppo affrettato con l’insediamento misto ha portato danni gravissimi, in particolare l’uso di eroina che causa un decesso l’anno nella comunità.
Poche centinaia sono i rom napoletani (detti napulengre), un tempo finissimi artigiani del ferro battuto, gestori di piccole giostre e diffusori di spartiti musicali che portavano sulle loro pianole mobili e che adesso vivono di questua, oppure vendendo cancelleria povera per strada, mentre ancora qualcuno alleva piccoli volatili per chiromanzia.
Abitano nei residence comunali, in edifici occupati, qualcuno in roulotte e pochi in case popolari ottenute dopo aver lasciato la baraccopoli del Mandrione nel 1981, ma comunque sempre in piccoli gruppi.
Altrettanti i camminanti siciliani, originari di Noto, Mazara del Vallo e altri centri dell’isola. Vivono nei residence comunali e in numero significativo nelle case occupate del Quartaccio a Monte Mario, in condizione di grave emarginazione sociale.
Molti di loro ancora praticano l’antica economia nomade degli arrotini, ombrellai e d’estate si trasformano in riparatori di cucine a gas o vendono piccoli giocattoli sulle spiagge.
Gli ultimi seminomadi sono i sinti giostrai e i rom kalderasha.
I primi trascorrono un lungo periodo, da fine primavera a inizio autunno, nel centro-sud per i loro spettacoli viaggianti.
Contano piccoli e grandi insediamenti in tutta la città (Casal Bruciato, San Basilio, Acilia) e sono originari in buona parte delle Marche e del Piemonte, in misura minore della Lombardia ed Emilia, nonché dell’Austria e della Germania (questi ultimi sono perciò definiti taic cioè tedeschi, divisi nei sottoruppi estrekarija (austriaci) e eftavagarija (sette carovane); una bella microarea autocostruita dai taic sorge, perfettamente integrata nel contesto urbano, a Garbatella in via delle Sette Chiese e rappresenta un modello perfetto di sana ed equilibrata organizzazione di famiglia estesa sinta, i cui capifamiglia maschi lavorano come dipendenti nel commercio cittadino o nei mercati autorizzati gestiti dalla Cooperativa Pijats Romanò.
Molti si sono convertiti al credo pentecostale, in particolare quelli che, a causa della pressione fiscale, hanno abbandonato le giostre per dedicarsi al piccolo artigianato (bonsai artificiali e bottiglie colorate).
I rom kalderasha sono quasi tutti originari di Fiume da dove scapparono nel 1941 inseguiti dalla soldataglia nazista e ustascia. Hanno case in Veneto e Lombardia, ma se ne stanno lontani anche undici mesi all’anno per praticare la loro costante tradizionale attività di battitori e lucidatori di metalli, gli uomini, e di chiromanti le donne. Sono anch’essi spesso pentecostali e vivevano nell’ex Mattatoio di Testaccio, dove la prevista ristrutturazione del sito li ha allontanati ancora una volta dalla città verso il grande parcheggio Rai a Saxa Rubra sulla Flaminia; alcuni hanno costruito villoni, circondati da terreno, ben oltre il raccordo anulare al confine con Zagarolo.
I rom “stranieri” sono invece divisi in due grosse entità, a loro volta differenziate in numerosi sottogruppi:
rom khorakhanè (letteralmente “musulmani”, da khorà, Corano) e cioè i cergarija, i crna gora e in piccola parte gli shiftarija; e i
rom dasikhanè (impropriamente da das, Serbia, ovvero i rom cristiano-ortodossi) sono i kanjanja, i mrznarija, i rudari e in misura minore busniarija e bulgarija. I rom khorakhanè cergarija (in serbo-croato cerga vuol dire tenda) vivono nei campi di roulotte del Comune a San Paolo, Magliana Vecchia, Spinaceto, Centocelle. Trent’anni fa arrivarono a Milano da Vlasenica, una cittadina mineraria multiconfessionale, ora in territorio serbo-bosniaco.
In Jugoslavia vivevano tutti in casa e lavoravano come riparatori di utensili domestici e nella costruzione di strade. In Italia, quindici anni di stenti indicibili hanno avuto conseguenze devastanti sui minori, con frequenti fenomeni di devianza minorile, i cui effetti comunque sono spesso amplificati ed esasperati dai mass media. Fra loro vivono alcune decine di profughi anche non zingari.
I rom khorakhanè crna gora (Montenegro) in realtà sono ancora soltanto in parte cittadini montenegrini in quanto la maggior parte (si parla della fine degli anni Sessanta) proviene dalla Bosnia, dall’Erzegovina e dalla Croazia.
Sono i più capaci e creativi artigiani del rame e dell’ottone esistenti, ma i divieti delle varie polizie ad esercitare tale attività li ha costretti, come già sottolineato, su altre strade. Vivono a Monte Mario, sull’Aurelia, a Centocelle, all’Arco di Travertino, a Ciampino, all’Acqua Vergine, al Laurentino e nel nuovo villaggio di casette autosufficienti di Via Salviati a Tor Sapienza.
I rom khorakhanè shiftarija (da shiftar, aquila, il simbolo dell’Albania, ma non amano tale definizione) vivono in pochi nuclei nella insana baraccopoli del Casilino 900 a Centocelle. Sono di cittadinanza kosovara o, parzialmente, montenegrina. A loro molto affine per costumanze e pratica religiosa il gruppo dei rom mangiuppi, cittadini macedoni, che vivono nel degradato Villaggio Comunale di Tor de’ Cenci. Gli shiftarija ed i mangiuppi sono gli unici rom musulmani osservanti e dotati, anche in Italia di una capillare rete di propri sacerdoti.
I rom kanjarija vivono a Tor di Quinto, sull’Olimpica, ad Acilia, alla Rustica; i mrznarija ed i i busniarija nell’isolatissimo, ma molto ben attrezzato con prefabbricati mononucleari dotati di servizi igienici autonomi per ciascuna famiglia, è il Villaggio comunale di via di Salone.
Le definizioni onomastiche dei gruppi e sottogruppi derivano dalla loro passata attività di allevamento di animali da cortile che vendevano itinerando per le case in città e paesi della Serbia e, parzialmente, del Kosovo Sono cristiano-ortodossi legati da una fortissima identità di gruppo e provengono da Serbia, Macedonia, Croazia. Molto presente è la devianza minorile.
I rom rudari (dal rumeno parenti, vale a dire dal latino gens) sono anch’essi cristiano-ortodossi e vivono in tre comunità sulla Collatina Vecchia, nonché nel Villaggio Comunale al Casilino 23. Ursari e circensi in Jugoslavia (ma provenienti dalla Romania), qui vivono della vendita serale di fiori, accompagnata da violini e fisarmoniche (nel Villaggio Comunale di Collatina Vecchia esiste anche un complesso musicale, regolarmente ingaggiato per matrimoni e feste similari). Il loro gruppo parentale vive perfettamente integrato in case proprie o governative in Serbia, ma annovera anche nuclei assolutamente mimetizzati nel bergamasco, nel varesino ed in Austria.
È il gruppo “jugoslavo” quantitativamente più stabile ed è il solo a non parlare il romanès, che comunque i più anziani capiscono parzialmente. Provengono tutti dalla cittadina serba di Kragujevac, gemellata con Marzabotto per la terribile strage nazi-ustascia degli anni quaranta, in cui furono trucidati anche numerosi Rom.
Il gruppo più numeroso è costituito dai rom rumeni, che vivono, in parte, nei dignitosi Villaggi Comunali di via di Salone, Magliana Vecchia, Via della Cesarina e River-Nomentano, provenienti pochi anni fa soprattutto da Craiova, Timisoara, Turnu Severin, Calarasi, Brasov dopo essere stati allontanati dalla Germania e aver trovato in Romania le loro case bruciate dalle rinate bande neonaziste.
Bellissime le piccole bande musicali che ritroviamo a tutte le ore del giorno per il centro storico composte da questo gruppo; molti sono i rom caramizari (cioè muratori, dal greco kieramilos, tegola ; in rumeno caramida=mattone) che dai Villaggi e dalle baraccopoli sono impiegati nei cantieri romani. Una romnì rumunka, Mioara Miclescu è Presidente di una Cooperativa di sole donne rom che gestisce una lavanderia/stireria/piccola sartoria.
Per il resto vivono di questua e vendita di roba usata; adesso le Comunità di Rom Rumeni occupano il gradino più basso della gerarchia dell’emarginazione romanì a Roma.I fatti di Tor di Quinto hanno rivelato al mondo intero la presenza delle baraccopoli sulle rive dei fiumi Aniene e Tevere, nelle quali, tra gli altri, sopravvivono non meno di 2000 bambini rom nemmeno vaccinati e per le cui comunità Prefettura, Comune ed associazioni si sono mobilitati dopo l’episodio dell’omicidio del 31 ottobre 2007.
Va segnalato infine che fra Roma e Zagarolo si allarga sempre più il numero di differenti famiglie di rom/sinti, italiani e serbi, che, esasperate dalle condizioni dei campi, acquistano terreni agricoli e vi costruiscono sopra abitazioni che rispecchiano in qualche modo la loro specifica organizzazione sociale interna, anche se la microarea di Via delle Sette Chiese è l’unico esempio realizzato compiutamente per questo genere di habitat.