Oratorio di Castro
via C. Balbo, 33
A cura di Pupa Garribba
(saggista).
Tutti sanno che Roma è una delle città al mondo con il maggior numero di monumenti antichi.
Numerosi sono quelli di interesse ebraico: residenti in città già un secolo prima della nascita di Cristo, gli ebrei hanno lasciato tracce in ogni tempo ed in ogni rione – dal Foro Romano alle pendici del Campidoglio, dal Colosseo a Trastevere tra Ponte Sisto e l’Isola Tiberina, dall’Aventino all’Esquilino, dai dintorni di Porta Capena alla zona del Ghetto…. La loro presenza, tuttavia, è percepita soprattutto nella zona dell’antico ghetto, instaurato da Papa Paolo IV Carafa nel 1555 e completamente demolito tra il 1886 e il 1904 secondo il piano regolatore di Roma Capitale. L’area è compresa tra l’Isola Tiberina, il Ponte Quattro Capi, il Portico d’Ottavia con l’omonima via ed infine la Piazza delle Cinque Scole.
Anche se saldamente ancorata alla vita della città, nel bene e nel male da più di duemila anni, la comunità ebraica, che conta attualmente circa 15.000 membri, rimane ancora circondata da un certo alone di mistero; la maggioranza dei romani sa ben poco dei concittadini ebrei, pur dimostrando di anno in anno un aumentato interesse nei loro confronti.
Resta comunque ancora molta strada da fare: i sondaggi che si sono susseguiti nel tempo in Italia dimostrano che, nell’immaginario collettivo di molti intervistati, gli ebrei continuano ad essere “stranieri” inquietanti stanziati a “centinaia di migliaia” nella capitale, con bizzarre abitudini come “fare festa il sabato” e “mangiare diversamente”.
Eppure, quante piacevoli scoperte si potrebbero fare se sulla diffidenza prevalesse la curiosità di saperne di più: si scoprirebbe, ad esempio, che il giudaico-romanesco, lo strano linguaggio parlato ancora oggi soprattutto dagli anziani nell’area del Ghetto, non è altro che il dialetto comune a Roma nel ‘500 inframezzato da termini ebraici, aumentati col tempo quasi a voler opporre una difesa al mondo esterno sempre più ostile. Negli ultimi anni il giudaico-romanesco è rinato a nuova vita grazie ad alcune compagnie teatrali, che riscuotono grande successo di pubblico.
Parlando invece di cucina e in particolare di specialità gastronomiche diffuse in tutta la città, salterebbe subito agli occhi la difficoltà di distinguere i piatti tradizionali romani da quelli ebraici, anche se questi ultimi sono vincolati da regole ferree.
Almeno a tavola l’integrazione è avvenuta senza difficoltà; ciò non toglie che le regole alimentari ebraiche e la macellazione rituale, la kasheruth e la schehità, siano talvolta viste dall’immaginario collettivo come pratiche strane “proprie di civiltà primitive ed incivili”.
Quali conclusioni trarre?
Se la conoscenza può cancellare un poco alla volta pregiudizi e paura del “diverso”; l’intelligente uso della guida Roma multietnica può rendere subito comprensibili comportamenti che, nonostante il passare del tempo, continuano a destare sconcerto.
Un esempio fra tutti, la chiusura di istituzioni, centri culturali e negozi in occasione delle principali festività ebraiche che prevedono l’astensione dal lavoro.