Esplosione cosmica (1997)
La storia di un triangolo amoroso, un dramma psicologico raccontato coi toni del thriller.
A cura di Anita Raja
Prima di avviare qualsiasi discorso sulla letteratura israeliana è necessario fare un po’ di chiarezza da un punto di vista terminologico.
Useremo qui il termine “letteratura israeliana” per intendere la letteratura in ebraico scritta da autori nati in terra di Israele o che vivono nello stato di Israele (fondato nel 1948), perché il termine “letteratura ebraica” ci pare riduttivo e fuorviante: lo si usa infatti sia per la letteratura di autori di religione ebraica che vivono fuori di Israele (soprattutto negli USA e in Europa, e dunque scritta in inglese, francese, tedesco ecc.) che per la letteratura scritta in yiddish (la lingua-dialetto degli ebrei dell’Europa Centrale, derivata dal tedesco e con commistioni di polacco, ebraico, ecc.: la lingua di grandi autori come Singer, ma anche la “lingua dell’esilio”).
In questa opera di chiarificazione terminologica ci può aiutare un saggio di uno dei maggiori scrittori israeliani, A. B. Yehoshua: Ebreo, israeliano, sionista: concetti da precisare (in ‘Elogio della normalità. Saggi sulla Diaspora e Israele’, Giuntina, Firenze 1991) che ridefinisce alcuni concetti di base legati all’identità ebraica.
Per Yehoshua ‘ebreo’ è ‘chi si identifica come tale’, visto che nella definizione religiosa classica non c’è nessuna indicazione di patria o di lingua né un qualche elemento di appartenenza alla comunità.
Gli ebrei non sono una razza, e non si sono mai considerati tali, ma un popolo. Essere ebreo è una questione di scelta.
‘Ebreo’ è chi è legato a una fede religiosa e all’esistenza ebraica nella diaspora, mentre “israeliano” è chi vive in un’esistenza totale ebraica, i cui segni distintivi sono la terra, la lingua e un contesto sociale autonomo, insomma chi è radicato in un contesto geografico.
E’ israeliano, dunque, per Yehoshua, chi ‘possiede una carta d’identità israeliana’.
Con l’espressione ‘letteratura israeliana’ intendiamo quindi una letteratura il cui sfondo naturale sono i paesaggi e la terra di Israele, una letteratura che ha come orizzonte la geografia di Israele, anche nei casi – rari – di ambientazione in altri paesi.
Questa geografia, pur di dimensioni ridotte, offre una grandissima varietà di sfondi: dall’ambiente rurale a quello urbano e metropolitano, dal deserto al mare, dal kibbutz alle università.
L’accettazione di questa geografia è patrimonio di tutti gli scrittori nati o vissuti in Israele, dalla generazione di mezzo dei Grossman, Oz, Yehoshua a quella dei più giovani, come Keret o Castel-Bloom.
La letteratura israeliana porta inscritto nel proprio patrimonio genetico alcuni temi: l’esperienza, diretta o indiretta, dell’olocausto, lo sradicamento e la parallela ricerca di radici, la rielaborazione del passato e la conquista di una identità, il rapporto con l’altro.
Alcune di queste tematiche ricorrono in modo costante, rispecchiate e riassunte dal conflitto israelo-palestinese che costituisce lo sfondo di molta letteratura israeliana: il rapporto tra cultura (europea) d’origine e cultura (araba) di arrivo, l’incontro-scontro con l’Oriente.
In particolare, il rapporto tra Oriente e Occidente è una chiave di fondamentale importanza per capire la letteratura israeliana, i cui riferimenti culturali sono soprattutto occidentali, ma si incontrano e si scontrano poi, inevitabilmente, con l’ Oriente persistente, inaddomesticabile, che rappresenta l’Altro da sé, un Altro vicino e lontano, come gli arabi palestinesi (basti pensare a un testo come L’amante di A. Yehoshua).
Da questo deriva spesso una consapevolezza dolorosa e problematica della propria identità: un senso di sradicamento e di estraneità rispetto a una Terra amata soprattutto da lontano (Kenaz, Shabtai), o l’esigenza di riandare indietro con la memoria per ricostruire un passato recente e meno recente, per ridefinire la propria identità (per citare i due casi più noti: Il signor Mani di A. B. Yehoshua e Storia di amore e di tenebra di Amos Oz), anche in rapporto con l’ebraismo come tradizione religiosa e culturale, con la cultura ebraica del passato, che era in gran parte religiosa e si è sviluppata nelle terre d’esilio.
Nella generazione più giovane, il radicamento è invece un fatto acquisito, non ci si interroga più sulla propria identità nè si ripercorre il passato in cerca di appigli e conferme: ne risulta una letteratura più astratta, sintetica, spesso costituita da racconti brevi, che ha con la realtà un approccio descrittivo e (solo apparentemente) più di superficie.
Una mattina una giovane donna si sveglia con il presentimento che il sogno appena fatto contenga qualche realtà. Contemporaneamente un attentato devasta la città e miete tre morti. La protagonista ripensa a tutta la vicenda e ricorda di aver fotografato poco tempo prima un importante scrittore, si convince poi che l'attentato fosse rivolto contro di lei e da quel momento inizia una avventura che la porterà lontano. Un thriller anomalo, dove la soluzione più logica si nasconde nell’irrazionale.
Le tre lezioni tenute in Germania sul tema “fanatismo” e sulla domanda “come curarlo?”. La risposta di Oz: con “L’esercizio salutare del compromesso”.
Raccolta di racconti brevi e velocissimi, caratterizzati da un sottile senso dell’assurdo.
Racconti ironici e surreali che hanno per protagonisti giovani israeliani e arabi uniti nel desiderio di normalità, stanchi della guerra, stremati dalle ideologie e dal fanatismo.
Raccolta di racconti d’ambientazione quotidiana, in cui nella trama apparentemente rassicurante della vita e dei gesti comuni a poco a poco si insinua una minaccia oscura, un senso di precarietà e di ansia, la percezione di conflitti che covano sotto la cenere.
Carnale, morbosa, erotica e la passione della giovane Yaara - borghese, colta, sposata - per un amico del padre, molto piu vecchio di lei, ambiguo e oscuro. Lui e un libertino nel quale il magnetismo animale e peccaminosita si mescolano a una rovinosa decadenza e a uno sconfinato cinismo.