È con una penna graffiante e provocatoria che Ljudmila Petruševskaja restituisce innanzitutto a sé stessa la memoria di un’infanzia sovietica a cavallo della seconda guerra mondiale. Il filo dei ricordi si snoda in un quadro familiare ricco e stravagante, dove emergono l’affetto bruciante per il bisnonno Tato, tra i primi ad aderire alla causa bolscevica, le vibrazioni nostalgiche per una madre assente e l’ammirazione per nonno Kolja, il celebre linguista che tenne testa a Stalin. La piccola Ljudmila figura tra i tanti sfollati che nel gelo del 1941 lasciano Mosca per Kujbyšev, al riparo dalla linea del fronte. Con la nonna e la zia, la vita nella cittadina è segnata dagli stenti: cibo e cherosene sono razionati, il calore di un cappotto è un sogno.
Ljudmila Petruševskaja
Ljudmila Petruševskaja è una figura poliedrica e sfaccettata: grande drammaturga, autrice di racconti e romanzi (ne ha una trentina all’attivo), favole, sceneggiature. Il New York Times l’ha definita “una delle migliori scrittrici russe viventi” e il suo stile è stato paragonato a quello di Gogol’, Dostoevskij, Tolstoj, Poe e Ishiguro. Nel 2018 le è stato conferito il Big Book Award alla carriera, il più prestigioso riconoscimento letterario in Russia. La bambina dell’hotel Metropole ha vinto il Premio Bunin 2008.