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I fantasmi di Portopalo

La notte di Natale del 1996 nel canale di Sicilia è avvenuto il più grande naufragio della storia del Mediterraneo dalla fine della seconda guerra mondiale. Nel tentativo di sbarcare nel nostro paese, circa trecento clandestini di origine pakistana, indiana e tamil, muoiono per l'affondamento di una "carretta del mare" del tutto inadeguata a sopportare un tale carico. Il fatto passa quasi completamente sotto silenzio.
Ma nei mesi seguenti i pescatori di Portopalo di Capo Passero, che battevano quel tratto di mare, trovarono ogni giorno nelle proprie reti, insieme al pescato, corpi umani. L'avvio di qualsiasi indagine avrebbe significato la chiusura dello spazio di pesca per un tempo indeterminato. Che fare allora di quei cadaveri? Tutti presero la stessa decisione.
I fantasmi di Portopalo è la ricostruzione di un'incredibile vicenda, la storia, raccontata in prima persona, di come Giovanni Maria Bellu sia riuscito a dimostrare che quel naufragio è davvero avvenuto e di come un intero paese abbia custodito per anni un atroce segreto.

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L’albero delle storie

Un’appassionante testimonianza sull’attuale situazione dell’Afghanistan e la storia di una famiglia le cui origni passano per Fatima, figlia del Profeta, in un libro sospeso tra una realtà tragica e un meraviglioso patrimonio tra miti e leggende, che soli permettono di riconoscere una bellezza sepolta nelle rovine.

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Racconti e storielle degli ebrei

Il materiale folcloristico di questo libro è stato raccolto molti decenni fa dall’ultimo conoscitore della vita ebraica, Efim Rajze, perseguitato e imprigionato durante lo stalinismo. Rajze morì senza speranza di veder pubblicate le favole da lui raccolte.
Queste favole, nate per essere raccontate dai nonni ai nipoti, dalle madri ai figli prima del calar della sera del sabato, dai vetturini balagole ai propri passeggeri, dai buffoni badkhon agli ospiti dei matrimoni, dai magidim, predicatori itineranti, a tutti quelli che venivano per sentire i loro sermoni, - qui sono state riassunte dagli intellettuali di lingua yiddish.

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Editore:Bompiani

Anno:2004

Autore:Autori vari - AA.VV.

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Quando abbiamo smesso di pensare

«Noi musulmani siamo in crisi, e in questa crisi ci trasciniamo dietro il resto del mondo. Se mai si è presentato, il momento giusto per riformare l’Islam è questo. Per amor di Dio, vogliamo approfittarne?» A lanciare questo appello accorato è Irshad Manji, una musulmana dell’Occidente, giornalista e scrittrice nata in Uganda e cresciuta in Canada. Manji è «ai ferri corti» con l’Islam: i suoi fratelli di fede hanno scelto la via dell’intolleranza e del vittimismo, mortificano le donne, si sono arroccati su posizioni rigidamente conservatrici. È ora di finirla con «l’Islam del deserto», con la sua «arroganza tribale», e questo libro fa piazza pulita di molte certezze consolidate. Per farlo attinge al Corano, perché non è vero, sostiene l’autrice, che dottrina e democrazia, religiosità e libertà di pensiero sono concetti incompatibili. Come l’ebraismo e il cristianesimo, l’Islam deve imparare ad accettare l’individualità dei suoi fedeli, la pluralità delle loro idee. I musulmani devono smetterla di recitare i sacri testi a pappagallo e rimettersi a pensare.

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Ultime notizie dal letamaio

Una gamba amputata di cui la polizia non riesce a liberarsi. Un uomo che si addormenta col suo carico di cetrioli dentro una cassa da morto e finisce al manicomio. Una bizzarra teoria che riconduce alla calvizie dei capi di stato i mali e le miserie dell’intera nazione. Lattine di Coca-Cola e rifiuti vari riciclati nei modi più curiosi e inventivi, fino alla nascita di una corrente artistica di grande successo. E poi litri di vodka fatta in casa, feste di piazza e tenere storie d’amore. È questo il ritratto della Russia contemporanea che ci consegna Aleksandr Ikonnikov, un cosmo surreale fatto di sprechi e inefficienze, follie burocratiche e diseguaglianze, ma anche risate amare e gesti romantici, grandi passioni e sguardi incantati sul mondo. Con una felice vena ironica, Ikonnikov racconta la transizione post-sovietica, dando vita a una galleria di personaggi irresistibili e carichi di umanità.

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Attese

Le donne sanno aspettare. E' con l'attesa paziente, senz'armi e a volte senza nemmeno parole, che disegnano il corso della storia. Rebecca va incontro a colui che ancora non conosce eppure già ama, e prima di vederlo si figura il tempo che starà insieme a lui. Tamar desidera un figlio e l'ottiene aspettando il suo uomo sul ciglio della strada, là dove la curva piega verso la cima del monte. Emilia guarda il ghetto da una finestra cui non tornerà mai più. Claudia ricama in attesa che il suo lutto finisca e si trasformi in speranza, sotto un albero d'autunno. Elvira aspetta la terra promessa, e intanto fa nascere bambini altrui: non la vedrà mai, perché tutto finisce dentro un forno crematorio. Una giovane donna senza nome s'affaccia a un destino che ancora non sa, eppure è il suo. Un velo trascorre fra una generazione e l'altra, da una mano di donna all'altra: è un pezzo di stoffa, Fibra di lino ruvida, sgualcita dal tempo che passa. Non ha colore, ombra e luce soltanto carpisce dalle mani che sfiorano, prendono, toccano, muovono. Tessuto di mistero, trattiene la memoria e racconta queste attese.
Elena Loewenthal

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Contro l’antisemitismo

Un'antologia di scritti dell'intellettuale anarchico di origine ebraica Bernard Lazare sul tema dell'antisemitismo, in difesa di Alfred Dreyfus e in polemica con La France Juive (1886) di Edouard Drumont, il leader indiscusso dell'antisemitismo nazionalista e cattolico francese. Il volume raccoglie alcuni scritti inediti in Italia ed anche l'articolo Per gli ebrei di Emile Zola - che Lazare incontrò personalmente nel 1896 - a testimonianza del violento dibattito sull'antisemitismo che si scatenò allora in Francia. Un libro di estrema attualità, che fornisce una significativa chiave di lettura per comprendere il presente, soprattutto alla luce del riaffacciarsi di derive antisemite."

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Fiabe ebraiche

(A cura di Elena Loewenthal)
Pa'am Achat: «Una volta». Cosí, il piú delle volte, cominciano le fiabe ebraiche. La formula è usuale, persino scontata. Se non che né prima né dopo quell'«una volta» c'è modo di trovare il verbo, un qualsivoglia attestato di esistenza nel tempo. Da quelle due parole in poi, la fiaba ebraica si dipana sospesa in un tempo che non è dato immaginare, libera dai confini d'ogni concepibile realtà, dove si nutre ogni illusione fuorché quella di collocare la storia in qualche «dove» o «quando». [...]
Ironia, a tratti verace umorismo, sommessa distanza dalla realtà, profonda saggezza e inguaribile pazienza sono le virtú delle fiabe ebraiche - siano esse echi di adagi biblici o rifacimenti di motivi stranieri. In un caso o nell'altro, il filo conduttore del racconto, l'atmosfera che si respira, hanno inequivocabile la connotazione d'Israele.

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