In questo romanzo di Burhan Sönmez, scritto nel 2009, un giorno in fondo a un burrone viene ritrovato il corpo di un uomo con un orecchino di vetro custodito in bocca. Si tratta di Aslem, partito vent’anni prima per il nord senza lasciare tracce né spiegazioni. Il figlio Rinda è cresciuto tra le foreste e i precipizi che circondano il villaggio con la madre e il cavallo Belek, pieno di nostalgia mescolata a rancore per quel padre sconosciuto e andato lontano, chissà dove e spinto da cosa. Ed è proprio Rinda a scoprire lo scintillio dell’orecchino tra le labbra del cadavere di Aslem, mentre la luna piena all’improvviso si eclissa nella notte. Cosí quel monile nascosto diventa un segno per il ragazzo, il segreto di un lascito da rintracciare, e con Belek parte anche lui per il nord, a ricostruire la storia del padre e il vuoto che avverte in se stesso. Il nord è strano, misterioso, fa paura: Rinda, come Aslem, è un abile cacciatore, ma perde continuamente le impronte del cervo di cui tutti gli parlano lungo la strada, mentre incontra guaritori, sapienti, torturatori, una vecchia che parla con una volpe, un sultano ossessionato da un sassolino, le donne Şahmaran che custodiscono la lingua delle madri e il ricordo della scrittura che è stata loro sottratta. E ognuno gli racconta una storia, immergendolo in una corrente di verità – sul suo cammino, sulla sorte del padre e sul mondo – che si intrecciano, scompongono e ricompongono, un’onda di risacca che sfrangia di continuo gli orli del reale. Sono destini incrociati, o le forme incessanti di un sogno corale? La fascinazione del racconto e la forza narrativa della tradizione orale curda ricoprono le pagine di Nord come un sortilegio.