Percorrere le pagine della raccolta poetica di Cheikh Tidiane Gaye significa immergersi, una volta di più dopo Senghor, nelle costanti di un'Africa finalmente felix:un'Africa del passato, quella in cui il "coltello selvaggio" non aveva ancora "strappato la prestigiosa comunione" dell'uomo con l'essere ("il poeta e lo spirito"). Si cerca l'"ago eterno (...) così potente da ricucire"; tuttavia si trova solo la forbice: come un sarto, il poeta vuole che gli vengano trasmessi i sogni di tutti, i loro sorrisi illuminanti, i loro cuori palpitanti, per poterli far vibrare, una volta ancora, atraverso la sua parola.
Un viaggio nell'universo delle melodie, delle origini e dei valori; con Il canto del Djali, la poesia africana conferma il suo ritmo, la sua bellezza, la sacralità della parola.
Il canto del Djali
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