Igiaba Scego
Igiaba Scego è nata a Roma nel 1974, da genitori somali, rifugiatisi in Italia dopo il colpo di stato militare di Siad Barre che mise fine alla felice parentesi democratica del paese. È laureata in lingue e letterature straniere all’Università La Sapienza di Roma. Ha collaborato con alcune riviste che si occupano di immigrazione tra cui “Latinoamerica”, “Carta” e “Migra”.
Nel 2003 ha vinto il premio letterario Eks&tra per scrittori migranti con il racconto “Salsiccia”. Il suo interesse per il mondo dell’intercultura non è nato solo per le sue radici somale, ma anche grazie all’incontro con persone illuminate (sia nel mondo accademico sia all’esterno).
Dopo gli studi, infatti, ha collaborato con alcune ONG (anche sul triste fenomeno delle mutilazioni dei genitali femminili) ed ha continuato il suo percorso di studi.
Attualmente vive a Roma dove si divide tra la passione per la scrittura e il lavoro. Ha pubblicato i romanzi “La nomade che amava Alfred Hitchcock” e “Rhoda” (entrambi Sinnos editrice), due racconti nell’antologia “Pecone nere” (Laterza,2006) e ha curato insieme a Ingy Mubiayi il libro “Quando nasci è una roulette.Giovani figli di migranti si raccontano” (TerrediMezzo,2007).
Figli dello stesso cielo. Il razzismo e il colonialismo raccontati ai ragazzi
Igiaba incontra in sogno il nonno Omar, che non ha mai conosciuto ma solo visto in fotografia. Omar la porta in un viaggio lungo la storia per raccontarle cosa significava vivere nella Somalia sotto il colonialismo italiano, quello ottocentesco e imperialista e quello del ventennio fascista, e in che modo l'eredità razzista impregni ancora le nostre città e la nostra cultura.
La linea del colore
26 gennaio 1887: a Dogali, in Eritrea, quasi cinquecento soldati italiani vengono uccisi durante uno scontro con le truppe etiopi. Quando la notizia giunge a Roma, un'onda di sdegno invade la città. Proprio in quel momento una donna sta rientrando dalla passeggiata che ogni mattina la porta sulla tomba di Shelley, al Cimitero Acattolico: si chiama Lafanu Brown, è una pittrice americana da anni residente a Roma, ed è nera. Su di lei, ignaro capro espiatorio, si riversa la rabbia della folla, fino a che un uomo, un anarchico capace di pensare con la propria testa, la porta in salvo. È a lui - che si chiama Ulisse ma ha la pazienza di Penelope - che Lafanu decidere di raccontarsi: la nascita in una tribù indiana chippewa, l'uomo dalla pelle nerissima che amò sua madre e scomparve, la donna che la portò con sé in città e poi la considerò un'ingrata, l'abolizionismo e la violenza, l'incontro con la sua mentore Lizzie Manson, fino alla grande scelta, quella che la condusse su un piroscafo, in Inghilterra e infine in Italia, lontano dall'amore ma forse un po' più vicina alla libertà.
Hagar, il nostro capitano. La schiava di Abramo
«Scrittori di Scrittura» è un progetto che presenta al pubblico le opere di alcuni autori che si sono cimentati nella riscrittura di un brano biblico secondo la propria sensibilità. Ogni volume è corredato della breve introduzione esegetica di un biblista e della traduzione del testo originale dall'ebraico o dal greco. «Hagar è una schiava», dice la donna che ha delle ciocche castane che le fuoriescono dal foulard verde. «Non mi importa cosa dice la Bibbia, la mia di Hagar, il mio capitano, non è la schiava di nessuno».
Adua
Adua è oggi una donna matura e vive a Roma da quando ha diciassette anni.
È una Vecchia Lira, così i nuovi immigrati chiamano le donne giunte in Italia durante la diaspora somala degli anni Settanta. Ha da poco sposato un giovane richiedente asilo sbarcato a Lampedusa e ha con lui un rapporto ambiguo, complicato. Non a caso lo chiama sempre Titanic, lo fa per rimarcare una differenza e forse per ferirlo un po’. Adua è confusa e a un bivio della sua vita. Medita di tornare in Somalia, paese che non ha più rivisto dallo scoppio della guerra civile. Ormai è sola a Roma, la sua amica Lul è già rientrata in patria.
La mia casa è dove sono
Quando è scoppiata la guerra in Somalia Igiaba non se n'è accorta. Aveva sedici anni, stava a Roma, e quella sera sperava solo di baciare il ragazzo che le piaceva. Non sapeva che per due anni non avrebbe più avuto notizie di sua madre. Non sapeva che la guerra si porta via tutto, anche l'anima. Igiaba è nata a Roma perché suo padre, ex ministro degli Esteri somalo, ci veniva a "studiare la democrazia" negli anni Cinquanta. E al Sistina era rimasto stregato dalla voce di Nat King Cole e dalla sensazione che in quella città si potesse ricominciare a sognare. Se ne ricordò tanti anni dopo, quando il colpo di stato di Siad Barre costrinse lui e la famiglia all'esilio in un altro paese. Per questo Igiaba per lungo tempo ha sentito parlare della sua terra solo attraverso le fiabe della madre e i racconti nostalgici dei fratelli, che ricordavano i fasti passati.
Oltre Babilonia
Si avvia così una storia vorticosa in cui si mescolano linguaggi, epoche, suggestioni di tre paesi, Italia, Somalia e Argentina. Dalla Roma multietnica di oggi alla Buenos Aires anni settanta, dalla Mogadiscio tumultuosa degli ultimi vent'anni a quella dell'epoca coloniale e dell'indipendenza. A dipanarsi in questi luoghi è il filo di un racconto che passa di bocca in bocca: da Zuhra a Mar, da Maryam a Miranda, le loro madri, e a Elias, il padre di cui niente sanno e che le ha rese a loro insaputa sorelle.