E' il suo ultimo lavoro poetico, scritto direttamente in italiano. Una specie di poemetto dove i testi si susseguono senza titolo, né punteggiatura, né maiuscole (restano solo i punti interrogativi), dove la voce del singolo diventa voce collettiva, che può essere di ciascuno di noi, o di tutti, una voce corale.
Il bilinguismo dell'autrice, e il suo “biculturalismo”, si traduce in ampliamento degli strumenti per comprendere il mondo, per penetrare i segreti dell’uomo, soprattutto il suo dolore. La lingua parlata è il filo con il quale il poeta tesse il “discorso comune”: la voce intensa e pacata che parla per ogni uomo, così com’era all’origine della poesia. Allora il trascorrere della vita, dei giorni è il centro (il cuore) di queste poesie brevi ed essenziali, eppure così articolate da sembrare racconti in miniatura.
Se la grande tradizione della poesia in lingua portoghese è ovviamente presente, le assillanti domande di Verrà l’anno e il tono a volte volutamente ingenuo e ripetitivo, un po’ sconnesso, fanno venire in mente il primo Palazzeschi e i poeti dialettali italiani del novecento, soprattutto Raffaello Baldini. Di solito la poesia si nutre di silenzi, qui è il contrario: la casa-poesia di Vera Lúcia de Oliveira è fitta di voci e suoni, di rumori provenienti dalla strada, è affollata di mani e di volti.