All’inferno è un non-romanzo, o meglio un anti-romanzo, da quanto si evince dalle coordinate che lo stesso autore e il mutevole narratore non si esimono a fornirci, che fa perno su un topos letterario consolidato: il protagonista viene imprigionato in una villa dalla quale potrà uscire soltanto se riuscirà a scrivere un romanzo che possa essere giudicato come un capolavoro.
Arménio Vieira
Arménio Vieira (Praia, Capo Verde 1941) è l’unico autore capoverdiano insignito del prestigioso Prémio Camões, il più importante riconoscimento alla carriera letteraria del mondo di lingua portoghese, assegnato dal Portogallo e dal Brasile insieme. Poeta refrattario al metro, ma votato ad una sensibilità epigrafica e aforistica, ha al suo attivo una bibliografia non vastissima, ma di grande impatto nel panorama delle lettere capoverdiane. Se è vero che la tradizione letteraria capoverdiana è stata una delle prime cronologicamente ad emergere tra quelle che al tempo erano ancora colonie portoghesi, e da sempre si è contraddistinta per un’apertura verso le letterature europee e americane, l’opera tutta di Arménio Vieira sembrerebbe ancor più esemplare in tal senso, opponendosi a certe tendenze di ritratto della caboverdianidade in letteratura: leggere Vieira significa imbattersi continuamente nella citazione esplicita o implicita, nel richiamo costante alla tradizione letteraria occidentale: e questo non coinvolge soltanto (e, anzi, lo fa soltanto marginalmente) la tradizione portoghese o brasiliana, al contrario, da Omero a Nabokov, da Joyce a DeFoe, da Goethe a Kafka, il panorama è quello di un certo “canone occidentale” che anche al lettore italiano suona tutt’altro che estraneo.