La porta del non ritorno
Grazie a suo padre, Aglaé ha imparato fin da bambina l’arte di stare china su un fiore per giorni interi, a spiare i misteri della sua vita effimera, anche se forse – ora che è morto può finalmente dirselo – da lui avrebbe voluto l’amore, il sostegno di un genitore. Ma Michel Adanson, studioso di botanica, si sentiva chiamato a una missione piú grande: lavorare a un’Enciclopedia che, sbrogliando i fili nascosti nell’enorme ma – tassa del mondo, catalogasse tutti gli esseri viventi del globo. A quel sogno, che piú di ogni altro incarnava appieno l’Età dei Lumi in cui stava vivendo, Adanson aveva sacrificato ogni cosa, anche il possibile conforto degli affetti; giunto poi davanti al termine di un’esistenza in cui la gloria gli era sfuggita fino all’ultimo come una cerbiatta davanti a un predatore, aveva sentito il bisogno di lasciare in eredità a sua figlia almeno il racconto sincero di una vita, ormai al riparo da un qualsivoglia giudizio terreno. Tutto comincia nel 1750, quando l’allora ventitreenne naturalista sbarca in Senegal, splendido eden dalle foreste d’ebano e dalle infinite coste luminose, in cerca di piante, fiori e alberi che nessuno scienziato europeo ha mai descritto. Vi trova invece esseri umani, belli e misteriosi, che la sua cultura gli ha insegnato a considerare inferiori, buoni solo per essere resi schiavi. Attratto dalle tradizioni come dalla lingua che ha deciso di imparare, Adanson ascolta le storie che i griot avvolti nelle loro vesti sgargianti cantano e si tramandano, e apprende così di Maram, la Rediviva, rapita per essere venduta, miracolosamente fuggita ai suoi aguzzini e ora nascosta ai confini della terra senegalese. Trovare Maram, dietro mille piste e altrettante leggende, diventa la nuova ossessione di Adanson, lo scopo segreto del suo viaggio, lei che simboleggia il cuore dell’Africa depredata di cui correggere il tragico destino.