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Ma andare avanti non è per niente facile se hai soltanto sedici anni e il tuo indirizzo è il ghetto di Maroko, dove le baracche si affollano su un mare di melma e rifiuti.
Bibliografia a cura di Paola Montecorboli, Giorgia Del Monte e Ivana Dama
Hanno collaborato Valeria Bersacchi e Anna Maria Coszach.
Consulenti: Maria Antonietta Saracino e Carla Ghezzi.
In Africa è sempre esistita una ricchissima letteratura orale rappresentata da miti, racconti, proverbi, canzoni e poemi epici, cui era demandato il compito di trasmettere storia e valori tradizionali.
Sebbene agli occhi dell’Occidente esista una identità culturale africana che viene percepita come omogenea, come un tutto indistinto, non si può dimenticare che nel continente africano sono presenti popolazioni, lingue e tradizioni diverse.
Già dall’Ottocento, ma con maggior forza a partire dall’inizio del secolo, con la colonizzazione, in varie zone dell’Africa sono nate letterature scritte in lingue differenti, per lo più europee, che da allora accompagnano la storia dell’Africa stessa interpretandone le realtà complesse e conflittuali.
Queste letterature sono state dominate per oltre un ventennio dall’espressione poetica ad opera dei padri della “negritudine”, come Léopold Sédar Senghor, e si sono affermate e sviluppate soprattutto in stretta connessione con la presa di coscienza dell’identità culturale e con gli eventi che dalla metà del secolo in poi hanno condotto gli stati africani all’indipendenza.
Diverse sono state le influenze culturali e linguistiche del colonialismo su queste letterature, spesso indicate come di area anglofona, francofona e lusofona, così come differenti sono stati i processi di appropriazione e di africanizzazione delle lingue europee da parte degli scrittori africani.
In molti casi gli autori hanno modificato la sintassi e il lessico delle lingue imposte dalla colonizzazione, utilizzando ritmi, modalità espressive e sonorità appartenenti alle lingue autoctone, e personaggi attinti dalla tradizione orale.
L’analfabetismo e la scarsa conoscenza delle lingue straniere in cui sono scritte le opere fanno sì che la letteratura africana sia più letta fuori dall’Africa che dagli africani stessi.
In Italia le prime traduzioni di autori africani, che risalgono agli anni cinquanta e sessanta, hanno avuto poca risonanza e solo dagli ultimi anni la letteratura africana è presente sugli scaffali delle nostre librerie in modo significativo.
La più rappresentata è la letteratura anglofona, mentre la letteratura francofona è stata scarsamente tradotta, nonostante il ruolo che ha avuto nella presa di coscienza dell’identità africana.
Gli scrittori di lingua portoghese sono forse stati quelli più trascurati dall’editoria italiana e rare sono le traduzioni dalle lingue autoctone.
Il percorso bibliografico che qui presentiamo, pur non avendo la pretesa di essere esaustivo, vuole aiutare il lettore ad orientarsi all’interno del vasto panorama della letteratura africana tradotta in italiano e vuole essere un invito ad avvicinarsi all’Africa attraverso i suoi scrittori, nella convinzione che la narrativa sia uno dei veicoli più immediati per comprendere realtà complesse e differenti dalla nostra.
Abbiamo voluto segnalare la data in cui i libri sono apparsi in Italia per la prima volta, per permettere al lettore di comprendere il difficile percorso editoriale della letteratura africana.
Molti libri purtroppo risultano esauriti, ma la maggior parte possono essere presi in prestito nelle nostre biblioteche, in alcuni casi in lingua originale, o consultati presso la sezione africana della Biblioteca dell’IsIAO.
Vogliamo infine ringraziare Maria Antonietta Saracino dell’Università di Roma La Sapienza e Carla Ghezzi dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente per la loro preziosa consulenza.
Una storia d'amore non convenzionale tra due personaggi non convenzionali che, sullo sfondo di una Mogadiscio assediata dalla miseria e segnata dalle tensioni prebelliche, s'innamorano nonostante tutto. Nonostante tutto perché sono persone mature, cui la vita ha già riservato amarezze e disillusioni, ma ancora capaci di donare e donarsi. Lei, Duniya, è una trentacinquenne con due matrimoni alle spalle, fiera di poter crescere i tre figli con il suo lavoro di inferiera.
Kalaman non ha dimenticato Shoolongo, la piccola amica dei giorni felici, con cui esplorava i primi misteri del sesso. Così, quando lei ricompare a Mogadiscio con la violenza di un uragano, Kalaman non può non farla entrare di nuovo nella sua vita, anche perché Shoolongo è mossa da una ragione precisa: vuole un figlio da lui. Ma una fitta trama di segreti e tabù avvolge i due e soprattutto le loro famiglie.
Askar, figlio di una donna morta di parto e di un padre ucciso prima ancora della sua nascita nella sanguinosa guerra civile tra Somalia ed Etiopia. Askar, orfano somalo, viene trovato e cresciuto con incondizionato amore da una giovane contadina etiope.
Askar che colleziona carte geografiche continuamente ridisegnate dai confini mutevoli del suo tormentato paese, per recuperare le proprie origini e sanare la sua profonda frattura interna.
L'autore ha intervistato rappresentanti delle comunità somale in Africa e in Europa. Nelle interviste di Farah i somali ci raccontano come hanno risposto al cambiamento e che cosa significhi ricominciare ogni volta in altre parti del mondo, confrontandosi con altre culture, stili di vita, leggi e lingue diverse.
Jeebleh, professore universitario in esilio a New York, torna a Mogadiscio, sua città natale, per rendere omaggio alla tomba della madre e rivedere l'amico Bile, dissidente come lui. Fin dallo sbarco all'aeroporto Jeebleh è colpito dall'atmosfera inquietante che regna nella città.
Quale è il significato dell'Africa e dell'essere africani? Cos'è la filosofia africana e cosa invece non è? La filosofia è parte dell'"africanismo"? Queste sono alcune delle domande fondamentali poste da questo libro.
L'autore dimostra che sono diversi discorsi a fondare gli universi di pensiero all'interno dei quali le persone concepiscono la loro identità.
Gli antropologi e i missionari occidentali hanno dato origine a distorsioni che operano non soltanto sullo sguardo esterno, ma anche su quello degli africani che tentano di comprendere sé stessi.
Mudimbe si spinge oltre le questioni classiche dell'antropologia o della storia africane.
L'evento scatenante del romanzo è una morte per AIDS. In questo modo il lettore viene trascinato sin dall'inizio nell'analisi di una delle piaghe sociali più diffuse in Sudafrica attraverso le vicende e soprattutto le riflessioni delle protagoniste. Il problema dell'epidemia viene affrontato in modo diretto: nella vita di chiunque può succedere di entrare in contatto con il virus senza sospettarlo minimamente. La pericolosità di comportamenti sessuali sconsiderati e dell'omertà, e l'ingiustizia di sottoporre le persone amate al rischio di morte sembra rivestire particolare importanza e viene continuamente ribadita.
La vita quotidiana di quattro ragazzi, poco più che bambini, in un campo mobile allestito nel cuore della foresta. Siamo in Mozambico, all'inizio di quella devastante guerra "civile" (1975-1990) che oppose tra loro i mozambicani subito dopo l'indipendenza dal Portogallo, raggiunta a sua volta dopo un lungo conflitto. Uno scontro fratricida il cui senso sfugge agli stessi protagonisti. Tanto più in quanto bambini, reclutati a forza, e costretti, attraverso riti di iniziazione brutali, a trasformarsi in predatori e assassini. In questo "Impero del Caos", l'unico ricordo di un'infanzia mutilata è una gabbia di fil di ferro, inseparabile compagna di uno dei ragazzi, che gli uccellini si rifiutano di abitare, ma che si popola man mano di immagini, di personaggi, di memorie, fino a ricreare il legame con un passato dichiarato inesistente dalla violenza delle armi.
Fra il dicembre 1995 e l'estate 1998 la Commissione per la verità e la riconciliazione, voluta da Nelson Mandela e presieduta da Desmond Tutu, ha messo in Sudafrica i carnefici di fronte alle proprie vittime. Ha preteso dai primi la verità, dai secondi l'autorizzazione al perdono. E soprattutto ha permesso a un intero paese di scongiurare quel bagno di sangue su cui molti avrebbero giurato all'indomani del crollo del regime razzista. Antjie Krog, poetessa e giornalista, che di quella commissione ha fatto parte e ne ha trasmesso i lavori alla radio, racconta in questo libro due anni di testimonianze crude e di confronti drammatici.
I simboli adinkra, misteriosi pittogrammi africani, per la prima volta in Italia nei racconti autobiografici di un giovane autore camerunense.
Henri Olama narra alcuni episodi della sua giovinezza nel Camerun, inframmezzati dalle esperienze di immigrato in Italia, prendendo spunto dai simboli adinkra, il cui significato si dilata e si precisa, in una ventina di storie.
Come i pittogrammi adinkra, tramandati di padre in figlio e impressi sui tessuti rituali, compongono un glossario simbolico da cui si dispiega il senso della vita e della morte, così i racconti di Henri Olama dipanano legami di comprensione tra culture.