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La saggezza del condannato a morte e altre poesie

In questa raccolta, nata dall'attenzione dello scrittore accompagnata dalla visione del traduttore, si è cercato di disegnare un volto italiano alla poesia di Mahmud Darwish e alla "sua propria lingua". Orizzonte di riferimento sono stati i tre "personaggi" che emergono dalla sua produzione poetica: l'elegante erudito che esprime il suo amore virtuoso per la terra madre e per l'amata immaginaria, l'io frammentato e il cantore della patria.

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Undici pianeti

Undici pianeti, scritto nel 1992, è forse uno dei lavori più completi del poeta palestinese, ed è legato a un data chiave per la storia araba e mondiale, il 1492, anno della scoperta dell’America e della definitiva espulsione di musulmani ed ebrei dall’Andalusia. Questi due eventi sono i temi su cui ruotano le prime due sezioni dell’opera: Undici pianeti sull’ultima scena andalusa e Penultimo discorso del pellerossa all’uomo bianco.

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Una trilogia palestinese

La prima raccolta dei tre testi in prosa più significativi di uno dei più grandi poeti del Novecento. E senz’altro del più grande poeta e scrittore arabo del secolo scorso. Dice Elias Sanbar: Darwish non era ambasciatore del suo paese ma un poeta slegato dalla nazionalità e dal passaporto. Certamente la Palestina era il suo humus, la terra dove affondava le radici: la sua flora e la sua fauna, la sua musica e le sue nuvole, ma tutto questo non doveva essere il suo limite. Se parla di terra, quella terra è proprio la sua terra. Non si è mai impantanato nelle chiavi di lettura che davano della sua opera.

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Stato d’assedio

Stato d'assedio (Hàlat Hisàr) è un 'testo', come lo ha definito lo stesso autore, elaborato a Ramallah nel gennaio 2002, nelle settimane in cui la città era assediata dalle truppe israeliane del generale Ariel Sharon.
Mahmud Darwish, che a Ramallah viveva, si è trovato perciò nella hàla, ossia nella 'condizione' di assediato. Con questo 'testo' il poeta palestinese non vuole solo descrivere lo stato d'assedio, vuole invece e soprattutto dare corpo alle parole per esprimere la hàla quando ci si ritrova a essere assediati.

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Una memoria per l’oblio

"Il cielo di Beirut è una grande cupola, una scura lastra di ferro. [...] Posso prendere un gesso e scrivere sulla lavagna i nomi e i commenti che voglio.
L'idea mi attrae.
Che cosa scriverei se salissi sul tetto più alto? '- Non passeranno'? L'hanno già scritto. 'Moriamo perché la patria viva'? L'hanno già scritto.'Hiroshima'? Già scritto.
Tutte le lettere si sono sparpagliate via dalla mia memoria e dalle mie dita. Ho dimenticato l'alfabeto. Ricordo solo sei lettere: b e i r u t".
Un libro di memorie scritto da uno dei più grandi poeti arabi che ha seguito il destino della diaspora palestinese.

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