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L’archivio dei danni collaterali

Namir, un giovane studioso iracheno che ha conseguito il dottorato ad Harvard, viene assunto da alcuni registi per documentare la devastazione dell'invasione dell'Iraq nel 2003. Durante un'escursione a Baghdad, Namir si avventura in via al-Mutanabbi, famosa per le sue librerie, dove incontra Wadud, un eccentrico librario che sta cercando di catalogare tutto ciò che è stato distrutto dalla guerra: da oggetti, edifici, libri e manoscritti, flora e fauna a esseri umani.

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Il cristo iracheno

Questo romanzo di racconti è una commedia dantesca moderna, cui fanno da sfondo un Iraq insanguinato e l'Europa del nord, paradiso terrestre di molti rifugiati di guerra. Violenza e follia ne sono protagoniste indiscusse. L'incubo si confonde con la realtà, l'immaginazione scavalca gli eventi. Come nel caso del giovane, buono e generoso, che è obbligato da un terrorista a indossare una cintura esplosiva e a premere il pulsante che pone fine a ogni speranza.

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Taji, una donna ribelle

Nell’ospedale militare di Val de Gross, a Parigi, è ricoverata Taji al-Mulik, una donna di novant’anni con una vita tumultuosa alle spalle. Nonostante si sia stabilita a Parigi da tempo, la sua mente è sempre rivolta alla sua vita passata trascorsa a Baghdad, un periodo di cui conserva gelosamente i ricordi.

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Allah 99

Hassan, scrittore iracheno rifugiatosi in Finlandia, è un uomo dissoluto e cinico che ha consacrato la vita all'alcol e al sesso occasionale. Il suo blog si chiama Allah 99, un chiaro riferimento al numero dei nomi che il Corano attribuisce alla divinità islamica. Nel blog Hassan sta raccogliendo novantanove interviste a persone segnate dalla violenza del terrorismo, dalla guerra civile e dall'emigrazione clandestina.

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Dispersi

Diwaniya. Questo il nome della cittadina a sud dell’Iraq a cui è destinata la giovane ginecologa Wardiya Iskandar. E nostalgia si chiama il sentimento che più le brucia dentro quando conta i giorni che la separano dal suo primo rientro a casa, nella Baghdad degli anni Cinquanta. Lei ancora non lo sa, ma Diwaniya la segnerà per sempre, le regalerà l’amore, le insegnerà la vita. Qui la brillante dottoressa cristiana imparerà la dedizione per le sue pazienti, qui manderà a memoria le canzoni di Umm Kalthum e qui metterà al mondo quattro figli. Ma l’Iraq, il paese più bello, è diviso e periodicamente tormentato da venti di guerra.

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Il suonatore di nuvole

Nabil fa il violoncellista a Baghdad, in uno scenario decisamente poco favorevole alla musica sinfonica: incompreso dai più, preso di mira dai salafiti, sente di essere un corpo estraneo al proprio paese. Decide perciò di fuggire, di andarsene in Europa. La sua fuga, però, prima di essere il solito odissiaco viaggio verso la libertà e la modernità, è il tentativo, sia pur solitario, di rimediare a una disarmonia: nella visione del giovane musicista spicca, infatti, luminosa, la costruzione della Città ideale vagheggiata da al-Farabi, il filosofo arabo del X secolo, ove lo stesso senso di giustizia ha come base fondante l'armonia musicale.

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Frankenstein a Baghdad

Il romanzo è ambientato a Baghdad durante l’occupazione americana nel 2005-2006. La città è costellata di esplosioni kamikaze, percorsa da violenze settarie tra sciiti e sunniti e altri gruppi, priva di un ordine statale e civile vero e proprio, immersa nella precarietà economica. In altre parole un caos in cui si muovono decine di personaggi: dal rigattiere alcolizzato allo speculatore immobiliare, dal giornalista spregiudicato agli affaristi dei mercati neri, dalle vecchiette agli esponenti di varie religioni.

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Il matto di piazza della Libertà

Immaginate un uomo rapito e costretto a dichiarare in video di aver commesso atroci crimini in nome della religione. Oppure un viaggio di clandestini diretti in Europa che si trasforma in una carneficina. Immaginate un soldato che, rimasto chiuso in una stanza per diversi giorni con la sua amata, per sopravvivere si nutre del suo corpo e del suo sangue. Cadaveri che parlano, lupi mannari, teste mozzate, corpi dilaniati o scuoiati, padri che avvelenano le figlie, figli che portano in valigia lo scheletro della madre, morti che scrivono romanzi, suicidi, esplosioni di autobombe, neonazisti che in Europa picchiano a sangue gli immigrati.

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Assente

Baghdad, anni ‘90. Sono gli anni delle sanzioni che seguono la guerra del Golfo. La storia è quella di Dalal, una giovane donna con una paralisi al labbro e una mente veloce, cresciuta nella casa degli zii. In questo periodo assurdo e terribile non solo gli zii, suoi tutori, sono ossessionati da ciò che manca o è assente. Ma anche nella sua “famiglia allargata”, ossia tra gli abitanti variopinti del condominio in cui vive Dalal, ciascuno ha subito una perdita.

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Un cielo così vicino

Un cielo così vicino è un insolito romanzo di formazione ambientato nel villaggio di Zafraniya, nei dintorni di Baghdad.
Ma, soprattutto, è il racconto del viaggio della scrittrice Betool Khedairi attraverso le memorie della sua infanzia, spesa ad assecondare la volontà dei genitori, e la cronaca del perenne conflitto tra due culture, quella irachena del padre, chiusa e fedele alla tradizione, e quella occidentale, moderna e liberale, della madre.
A un certo punto l'equilibrio precario in cui vive viene stravolto dalla guerra scoppiata con il vicino Iran.

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Notte finale. Racconti tristi e felici

Racconti d'amore e di morte, consolanti e drammatici, talvolta disperati. Grazie a uno stile asciutto e fortemente evocativo, questa grande autrice irachena contemporanea è riuscita a rendere con assoluta maestria la dimensione magica che attraversa, talvolta, il quotidiano della gente comune.
Poco importa che si tratti spesso di miserabili, di reietti, di scrocconi: il popolo che anima queste pagine è fotografato nell'attimo culminante in cui la vita gli si rivela o gli sfugge. E poco importa perfino l'ambientazione, sia essa Baghdad o altrove, poiché l'autrice non si propone di descrivere la finitezza di un mondo fisico, quanto piuttosto la minuta eternità che puntella ovunque l'animo dell'uomo.

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L’altro volto

In questo romanzo ambientato in Iraq, Fu’ad al-Takarli analizza la debolezza umana con l’intento di farci capire la fragilità dell'individuo di fronte a difficili scelte di vita: in questo caso l’attrazione di un giovane uomo maturo verso una giovanissima donna.

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L’anello di sabbia

Hashim, benestante architetto trentenne, è fidanzato con Amàl, figlia di un noto e rispettato chirurgo. Il giorno delle nozze, mentre tutti gli invitati lo aspettano in un lussuoso locale di Baghdad, il giovane sparisce inspiegabilmente, lasciando sgomenti sposa e familiari.
In un’atmosfera notturna, a tratti surreale, tra strade bagnate dalla pioggia, antiche dimore e progetti di «innovative» abitazioni, si muove il protagonista, sospeso tra la vita reale e i fantasmi della sua mente, ossessionato dalla morte della madre, avvenuta quand’era ancora bambino in circostanze poco chiare.

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Parole di donne irachene

Le donne che ci parlano attraverso questa antologia hanno dovuto combattere contro la censura della dittatura e contro gli ostacoli dell'embargo (la mancanza della carta, il razionamento delle matite perché la grafite «potrebbe essere usata per scopi bellici», l'interruzione continua di luce elettrica alla sera), in un Paese in cui fotocopiare un libro è un lusso e possederlo è impossibile.
Alcune di loro hanno conosciuto la tortura, altre la via dell'esilio, altre ancora sono morte.
Queste donne di Bassora e Baghdad, grazie a Inaam Kachachi, ci raccontano del loro universo intimo, della vita di ogni giorno di questa metà dell'umanità, votata da troppi, troppi anni a mandare avanti la famiglia, nonostante tutto.

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L’esodo dei gabbiani

E' il ritratto dell'Iraq durante l'epoca di Saddam Hussein.
Vengono descritti episodi di crudeltà inaudita e di violenta repressione: tutto sotteso a spiegare i motivi che spingono Muhammad al-Hadi, uno dei protagonisti, a voler lasciare la propria patria, emulando così quei gabbiani che volano via al sopraggiungere dell'inverno.

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